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Da bambino, se ricordo bene, la nebbia l’ho vista solo a Milano o in viaggio in treno per Milano. Come in occasione della prima partita di calcio di Serie A che ho visto, nel 1959 (o ai primi del 1960), Inter-Sampdoria: c’è una fotografia che mi ritrae davanti al vecchio stadio di San Siro, ma in quel momento della giornata il fenomeno era alquanto mitigato.

Erano gli anni in cui mio padre, ferroviere, raccontava come si usassero nel suo lavoro i petardi da nebbia. Dislocati a debita distanza sui binari, con i loro scoppi, molto fragorosi, servivano a segnalare ad un treno che eventualmente fosse sopraggiunto che, non visibile o non ben visibile, causa, appunto, nebbia, ce n’era già uno fermo, per un segnale o, peggio, per avaria, sullo stesso binario o, credo, per sicurezza,anche su quello parallelo. Ricordo come erano fatti quegli ordigni, che talvolta mio padre, quando rientrava dal servizio senza avere lasciato in deposito al suo reparto in stazione a Ventimiglia (IM) il borsone regolamentare, ci faceva ammirare: scatolette di alluminio decisamente più grosse di quelle oggi correnti per contenere prodotti alimentari, per noi bambini affascinanti, al pari dei racconti di papà, relativi ai casi in cui aveva dovuto usarli o di cui avesse avuto notizia da parte di colleghi. Alla notizia di un tragico incidente ferroviario di qualche anno fa, dovuto alla nebbia, mi sono chiesto se in ferrovia avevano smesso di usare i petardi.

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Weilbacher, Karl Weilbacher. Un cognome che suona un po' come la marca di un liquore di erbe. Se ne fece un breve cenno su questo blog l'anno scorso in proposito del suo coinvolgimento nel caso dell'importazione a Sanremo di un quadro del Tintoretto - in piena seconda guera mondiale! - per il quale dal medesimo - reputato agente dell'Abwehr tedesco - non era stata pagata la dogana. Per caso, qualche mese dopo un articolo, apparso nella cronaca locale di un noto quotidiano a larga diffusione nazionale, si dilungava con dovizia di particolari sulla citata vicenda. Probabile comune fonte di informazione per i due casi un lungo rapporto - datato 7 gennaio 1947 - del servizio segreto statunitense, firmato da James (Jesus) Angleton, un personaggio a suo tempo importante, come sottolinea anche il giornalista, e sul quale conviene a breve tornare. Occorre precisare che il documento è molto lungo, per cui non si può fare a meno di procedere per brevi, esemplificative estrapolazioni. Il cronista ha compiuto la scelta di concentrarsi sulla faccenda del dipinto, che risulta invero a suo modo interessante. L'opera consiste nel ritratto del Doge di Venezia Pietro Loredan. Secondo alcune fonti oggi si trova al Kimbell Art Museum di Firt Worth nel Texas. Per altre non è detto, perché il Tintoretto fece tre ritratti al Doge, tutti ancora esistentio. Si può menzionare la relazione americana: "Weilbacher andò a Imperia e pagò 22.000 lire di dogana per il dipinto, che gli fu restituito. Lo riportò a San Remo. Nell’autunno del 1943 il Weilbacher lo depositò in una banca a Merano. Fu restaurato nell'ottobre o nel novembre 1945 e portato nella sua nuova residenza a Como, da cui fu in seguito trasferito e consegnato a Milano in Via Dino Compagni n. 2 al Prof. Ivan Bernaim. Qui fu trovato e confiscato dopo l'arresto del Weilbacher." Perché Weilbacher, per l'importazione illegale del quadro per paradosso era stato in precedenza arrestato dal commissario di polizia della Città dei Fiori, invece che dalla Guardia di Finanza. Un dipinto che risultava essere di proprietà di Zaccarias Birtschansky il quale, dopo lunghi tentennamenti, si era lasciato convincere nella sua ultima residenza nel Principato di Monaco, egli vecchio profugo russo, passato anche per Parigi, ad affidare il suo prezioso bene per una tentata vendita in Italia proprio a Weilbacher ed al suo sodale Scholtz, vera mente del progetto e sul serio agente dell'Abwehr: e si è già potuto notare come è andata finire. La vita di Weilbacher - come emerge dal dossier - è stata se non avventurosa, sicuramente movimentata. Nato nel 1895 a Stoccarda, divenne ancora giovane in Tunisia segretario di un clinico inglese, specialista di malattie degli occhi. Lo seguì a Genova quando quest'ultimo vi aprì una struttura. Trasferitosi in Svizzera per conto suo, Weilbacher vi si trattenne per sottrarsi agli obblighi militari derivanti dalla Grande guerra nel frattempo scoppiata, ma ricevette ancora preziose sovvenzioni da quel suddito britannico. Finito il conflitto, si dedicò al suo nuovo impegno lavorativo, il commercio di generi alimentari, viaggiando per mezza Europa, compresa l'Italia, e rientrando anche in possesso del passaporto tedesco. "Nel 1919 incontra a Lugano Clara von Andrassy (nata Levi), moglie del conte Gyula von Andrassy. Clara divorzia e i due si sposano nel 1923 in Svizzera. Nel 1924 la coppia si trasferisce a Sanremo dove lavora come rappresentante di case editrici e gallerie d’arte austriache e tedesche. Nel gennaio 1925 apre una libreria a Sanremo che viene gestita dalla moglie. Aprirà poi delle succursali ad Alassio, Nervi e Viareggio. Nel 1928-29 subisce un tracollo finanziario e deve ottenere un concordato dai creditori. Nel 1930 apre un’agenzia internazionale in Via Vittorio Emanuele [n.d.r.: attuale Via Matteotti] a Sanremo, che si occupa di compravendita di immobili, riscossioni di affitti, gestioni immobiliari. L’attività frutta molto bene e Weilbacher ha rapporti anche a Mentone, Monte Carlo, Nizza e in Svizzera. Dopo l’ascesa al potere di Hitler, Weilbacher effettua numerosi viaggi verso la Germania, aiutando diversi ebrei ad espatriare. La sua principale attività era la vendita di immobili di ebrei ad ariani in Germania e il contemporaneo acquisto di altri immobili in Italia. L’attività era molto lucrosa ma ebbe un termine con l’introduzione delle leggi razziali in Italia nel 1938". In effetti, a Sanremo ci sono ancora persone che ricordano uno dei figli di Weilbacher, finita la seconda guerra, davanti alla porta di questa agenzia. Nel periodo bellico si facevano più intensi i contatti di Weilbacher con connazionali, agenti o militari che fossero, anche della S.D. e della Gestapo, ma la relazione Angleton non entra mai nei particolari. In genere si cercava di sfruttare la sua pregressa capacità, assodati i suoi trascorsi di immobiliarista, di muoversi ed avere contatti tra Marsiglia e Genova. Scholtz, ad esempio, lo incarica di prendere a nolo una nave danese nel porto della capitale della Provenza per una misteriosa operazione, poi lasciata cadere. Una frase che non riporta - come altre ! - la data dell'avvenimento suona nel seguente modo: "Weilbacher incontrò il console tedesco di Sanremo, una settimana dopo il suo arrivo in città, in occasione di uno spettacolo di varietà offerto per feriti italiani e tedeschi e al quale doveva partecipare anche il figlio di Weilbacher, Rolando". Indubbiamente Weilbacher non poteva non conoscere il console tedesco a Sanremo, Geibel, che anzi, involontariamente, gli procurò i primi contatti con la famiglia Scholtz, quando nel 1940 la signora Scholtz cercava nella cittadina della Riviera dei Fiori una villa da affittare. Senonché Geibel era di tutt'altra pasta, perché fu persona che cercò - certo con mille cautele - di aiutare connazionali (meglio dire ex) ebrei, tra i quali anche Dora Kellner, ex moglie di Walter Benjamin. Ironia della storia, a Weilbacher venne consigliato da un nazista di divorziare dalla moglie perché ebrea, il che egli puntualmente fece. Con tutto questo non è molto chiaro in cosa sia consistita l'attività spionistica di Weilbacher, tanto è vero che il rapporto statunitense si lascia anche sfuggire l'espressione "presunto agente dell'Abwehr". Ma è anche possibile che l'inquisitore (gli inquisitori) non fosse (fossero) riuscito (riusciti) a "stanare" l'indagato, il quale nel presente caso (ma in materia si può benissimo sospettare che a tali astuzie siano ricorsi tanti altri!) di sicuro raccontò sin nei minimi dettagli la sua vita, ma, con le sue divagazioni, probabilmente riuscì a celare, prendendo per stanchezza i suoi giudici, uan sua reale attività spionistica, se non dei veri e propri delitti commessi. Invero, nel documento si trovano frasi come: "Nell'ottobre 1943 gli fu chiesto di riferire al Consolato Generale Tedesco a Genova. A Genova fu ricevuto da una persona che aveva sostituito il Console Generale (di cui non ricorda il nome) che gli disse che doveva andare a Berlino e riferire al tenente colonnello Rosenleiter al comando generale dell'Abwehr. Gli fu dato un passaporto e un visto e partì subito dopo per Berlino, dove riferì al tenente colonnello Rosenleiter, che gli disse che gli era stato indicato come un agente dell'Abwehr [...] Dopo che il Weilbacher ebbe fornito le sue spiegazioni, Rosenleiter gli diede 200 marchi per le spese del viaggio e lo mandò nello Eden, dicendogli di tornare di nuovo il giorno successivo. Mentre stava tornando nell'ufficio di Rosenleiter, incontrò per caso Scholtz nell'ufficio della segretaria. Gli chiese perché non lo avesse aiutato quando in prigione. Scholtz si scusò dicendo che aveva avuto affari urgenti in Ungheria e Bulgaria. Scholtz disse che stava per partire per Parigi, e da lì sarebbe andato a Madrid, dove aveva lasciato la sua famiglia. Stava andando per motivi attinenti al suo lavoro di intelligence e si rifiutò di dare il suo indirizzo di Madrid. Gli promise che avrebbe fatto del suo meglio per farlo trasferire a Madrid, ma il suo trasferimento non ebbe mai luogo. Weilbacher aggiunge che non rivide più né Scholtz né la moglie [n.d.r.: che a Sanremo era anche stata sua amante]". Inoltre: "A Monte Carlo ebbe [Weilbacher] rapporti anche con Werner Vohringer, un tedesco che lavora per l’Abwehr. Era stato a Sanremo prima dello scoppio della guerra e lì era rimasto senza fare nulla. Weilbacher lo conobbe a Sanremo nel 1940 quando lavorava per un'azienda di esportazione di fiori con sede a Bordighera. Alla fine del 1943 lo incontrò nuovamente a Monte Carlo. A quel tempo Vohringer possedeva un'automobile lussuosa e viveva al Regina Hotel; confidò a Weilbacher che stava lavorando per Abwehr sotto un certo Kirsten a Sanremo. Weilbacher fece alcuni viaggi con lui da e per la Francia, ma negò di aver lavorato con lui per i servizi. Per quanto riguarda il lavoro di Vohringer, sapeva solamente che quando era a Monte Carlo si interessava ai francesi prigionieri nei campi italiani". Non aiuta neppure un vago accenno al fatto che "era stato in relazioni amichevoli" con il capitano Gino Punzi, che, anzi, in un'occasione lo aveva accompagnato in auto vicino a La Turbie in territorio che vedeva la presenza di partigiani francesi. Potrebbe trattarsi di una ricostruzione fatta a posteriori da Weilbacher o messa in qualche modo in bocca a Weilbacher, perché se all'epoca i nazisti avessero sospettato l'attività clandestina patriottica di Punzi, che figurava ancora ufficiale italiano di frontiera, avrebbero di sicuro proceduto all'arresto di un uomo che si apprestava, dopo aver già tessuto una rete antifascista, sia a combattere insieme ai maquisard che ad operare - una volta arrivate le truppe alleate sulla frontiera marittima tra Francia e Italia - come agente dell'Oss, prima di cadere in un mortale agguato dovuto al tradimento di un pescatore contrabbandiere di Ventimiglia. O ancora altre conoscenze di agenti nazisti (sempre genericamente indicati come tali dal dossier) e di loro mogli (soprattutto di queste!) compiute da Weilbacher o di sue ricerche di materiali speciali, se non addirittura di armi segrete: un lungo racconto dal vago sapore di fumetto. Ed Angleton? A limitarsi ad un breve abbozzo della sua attività, si può ricordare che come giovane capo della sezione di controspionaggio statunitense di stanza a Roma nel tardo autunno del 1944 inviò oltre le linee due agenti per prendere contatto con il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas, specializzata in crudeli rappresaglie contro i partigiani: da parte americana si trattava della verifica della possibilità di ingaggiare in funzione anticomunista - il che significava (va da sé) il ricorso ad ulteriori modalità illegali - alcuni ufficiali di quei reparti speciali della Repubblica di Salò, il che, terminato il conflitto, puntualmente avvenne. Questo spiega perché Angleton abbia evitato una prima volta l'arresto di Borghese trasferendolo in aereo a maggio 1945 dalla Lombardia a Roma e influendo - o facendo influire altre autorità del suo paese - sulla successiva mite condanna del Principe Nero. Trascurando la successiva strepitosa carriera di Angleton, che divenne capo del controspionaggio della CIA, si può ancora riferire che alcune fonti lo indicarono in seguito come vicino, molto vicino a Borghese in occasione del colpo di stato tentato da quest'ultimo a dicembre del 1970. Non solo. Sul finire della guerra aveva reclutato - tra gli altri ufficiali della Repubblica Sociale da lui ingaggiati - anche Licio Gelli, destinato a rilevare anni dopo il comando della loggia P2, messa in piedi con funzioni anticomuniste - secondo alcune fonti ufficiali - da un altro spione americano, Frank Gigliotti. Per quello che si legge nel rapporto dalle vicende di Weilbacher emergono, altresì, una galleria di diversi altri personaggi (anche un principe Colonna!) e una geografia di luoghi, che da sole meriterebbero puntuali resoconti di storia, sì, ma di storia minuta.

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Arturo Viale ha infine localizzato il terreno in cui venne introdotta - come racconta nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) - "a Latte, frazione di Ventimiglia, la coltivazione industriale dei fiori, producendo rose e garofani". Spetta in modo evidente a lui rendere noto in dettaglio tale aspetto, eventualmente con un suo nuovo libro.

Nico Orengo si complimentò anni fa con Arturo Viale per il suo "Mezz'agosto" (del 1994). Nel biglietto di congratulazioni lo scrittore si soffermò sulla "giuggiola dai Tremayne. Non ho più trovato quell’albero. Ce n’è ancora uno a Latte, all’inizio della via Romana, prima del cavalcavia. Caro Viale, il suo raccontare mi ha tenuto una affettuosa e sincera compagnia per una sera, tempo fa. Ma il ricordo è ancora vivo, le parole hanno ancora alone". Si dà il caso che la citata pianta della Via Romana oggi non sia più visibile, perché attorniata da tanti altri alberi, ma quasi in compenso ci sono diverse piccole - larghe ciascuna più o meno un palmo - giuggiole sulla vecchia arteria, spuntate ai piedi del muraglione di sostegno della Via Aurelia.

Vladi Orengo, padre di Nico, fu anche un regista di documentari cinematografici. Nel 1955 gliene "bocciarono" alcuni. Tra questi, "Porta Canarda" (con un po' di fantasia anche sentinella di Latte in altura, da levante, in zona Ville), "inchiesta sul contrabbando in una zona nei pressi di Ventimiglia, al confine con la Francia. Le parole di protesta del regista, vittima di una vera e propria crociata da parte dei censori, erano le stesse di tutti coloro che credevano nel documentario e nella sua vocazione a trattare argomenti d’impegno civile, anche se scottanti. Contro quest’ambiziosa visione, però, si scontrava - e il più delle volte prevaleva - l’idea di chi relegava il documentario a sottoprodotto culturale, impedendogli di evolversi e di affermarsi autonomamente". Così recita un passo della Tesi di Dottorato di Mariangela Palmieri "La propagaganda della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano negli anni della guerra fredda attraverso i documentari cinematografici (Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2010-2011). Si aggiunge, per una migliore comprensione, che Vladi Orengo aveva affidato le sue critiche alla rivista «Cinema Nuovo» e che si può capire il senso dell'esclusione dal mercato delle menzionate pellicole ancora con il ricorso alle parole usate da Mariangela Palmieri: "tantissimi documentari d’indiscusso valore e pluripremiati in festival e rassegne sono stati costretti, praticamente, alla scomparsa definitiva dalla circolazione, poiché altre soluzioni di sopravvivenza, al di fuori dell’area del sostegno dello Stato, in Italia in quegli anni non ve n’erano".

Riaffiorano ancora, in questo lembo di ponente ligure, racconti di antiche vicende di pescatori contrabbandieri. Anche con la pronuncia di termini specifici, "fenicotteri", ad indicare le persone che si volevano trasportare via mare clandestinamente verso la Francia: vocaboli, nella storiografia e non solo, per lo più usati ad indicare i militanti comunisti che sotto il regime fascista facevano il percorso inverso, di ritorno in Italia, per ritessere contatti con la vecchia base, venendo quasi subito irrimediabilmente arrestati. Tornando ai pregressi avventurieri nostrani occorre aggiungere che a loro piaceva anche usare la parola "neri". Si tramanda che, sotto l'incombere del probabile intervento di poliziotti transalpini, talora venisse buttato a mare qualche passeggero. Che in rare occasioni questo accadesse per depredare le vittime. Non si sa, tuttavia, quanto di vero ci sia mai stato in questi racconti di frontiera.

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Offesi tutti tutti, nessuno escluso?

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@news

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C'é un rapporto segreto inglese, redatto dal capitano G. K. Long, artista di guerra, in riferimento alla Missione Flap, condotta, con culmine nell'ottobre 1944, tra i Partigiani, nel Basso Piemonte, del comandante Mauri, e i Partigiani della I^ Zona Operativa Liguria. Il documento in questione era stato rintracciato a cura di Giuseppe "Mac" Fiorucci per la preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia, IsrecIm, 2007. Della Missione Flap scrisse anche il capitano Paul Morton, canadese, corrispondente di guerra, in Mission Inside, ma edito solo nel 1979 a Cuneo da L'Arciere, e soprattutto per le insistenze di partigiani piemontesi: il Toronto Star aveva pubblicato il 27 ottobre 1944 un solo articolo dei nove che Morton aveva preparato superando le censure degli uffici militari preposti e per giunta lo aveva già licenziato. Long non aveva solo stilato la suddetta relazione, ma aveva anche messo mano a dei disegni che avrebbero dovuto completare il lavoro del collega giornalista, ma questi, invero, vennero dopo tanti anni pubblicati solo nel citato Mission Inside.

Dal documento di Long si estrapolano nella presente occasione le seguenti frasi: "Alle 6 di sera del [giorno non precisato, ma dovrebbe essere stato il 7 ottobre 1944] partimmo per ROCCHETTA [Rocchetta Nervina (IM)] dove giungemmo dopo quattro ore di marcia. Ripartimmo di nuovo a mezzanotte con la guida PIERINO LOI che ci diresse attraverso la parte principale delle postazioni armate tedesche raggiungendo la periferia di VENTIMIGLIA dopo sei ore di marcia. Qui rimanemmo in un piccolo riparo dietro alla casa dei genitori della guida... Noi avevamo viaggiato da PIGNA in vestiti civili e siccome stava piovendo dalle 6 di sera quando dovemmo attraversare la città, potemmo indossare dei sacchi sulla testa nel modo in cui lo facevano i contadini, il che si aggiunse al nostro travestimento. Camminammo 2-3 chilometri lungo la strada principale che costeggia il fiume ROIA ed attraversammo il ponte nella città vecchia passando oltre le sentinelle tedesche senza sollevare il minimo sospetto ed andando alla casa del pescatore sulla spiaggia. Qui rimanemmo dalle 7 di sera fino a mezzanotte... A mezzanotte portammo la barca (lunga approssimativamente 14 piedi con quattro remi) per una strada e giù attraverso la spiaggia di ciottoli - l'unica area non minata - fino al mare. I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo (MONACO) dove sbarcammo [quindi, approssimativamente alle ore 4 del 9 ottobre 1944, data in ogni caso indicata da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II: Clandestine Sea Operations in the Western Mediterranean, North Africa and the Adriatic, 1940-1944, Paperback, 2013] e ci arrendemmo alla guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali ... A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell'area... I pescatori erano in grado di fornire informazioni preziose alla Sezione di Interpretazione Fotografica del quartier generale americano sulla Forza Tedesca, posizioni delle armi, campi minati, ecc. a VENTIMIGLIA. (Mr. Paul Morton ha i nomi e i documenti di questi due uomini che darà senza dubbio alla Rappresentativa delle Forze Speciali n.1 con P.W.B. a Roma). Questi uomini furono poi consegnati dal Maggiore GUNN al Capitano Jones, Esercito Americano a Nizza... PIERINO LOI, la guida procurata da LEO, mise su un'operazione straordinaria e non perse nemmeno una volta la pista durante le sei difficili ore di marcia da ROCCHETTA a VENTIMIGLIA... I pescatori sono sicuri che questo percorso (Ventimiglia - Monaco o Mentone) potrebbe essere usato con successo in entrambi i sensi. Essi affermano che si potrebbero evacuare da VENTIMIGLIA fino a venti persone alla volta se fosse disponibile un'imbarcazione più grande. Ciò vedemmo ed annotammo, e si può attestare che i pescatori condussero a termine il loro piano di evacuazione senza alcuna deviazione...".

In seguito il capitano Michael Lees, che era già stato prima della Flap responsabile di svariate imprese segrete, venne "dimenticato", ad usare un eufemismo, dalle autorità inglesi perché dopo il suo passaggio dal ponente ligure aveva comunque compiuto con efficacia ed eroismo, ricavandone gravi ferite (per la quinta volta!), la Missione “Tombola” (così in inglese!), sull’Appennino a sud di Reggio Emilia, un'azione che era all’ultimo stata… annullata dalle autorità superiori. Insomma, Lees aveva disobbedito agli ordini, perché, invece, aveva condotto l'attacco (che non si doveva più effettuare!) alla postazione tedesca insieme a partigiani garibaldini di quei luoghi, a uomini della Sas, e al maggiore Roy Farran, il quale per varie circostanze se la cavò in seguito con più onore di Lees, rimanendo, al contrario di Lees (congedato piuttosto frettolosamente!) in forza all’esercito. E non era neppure mancato, per quell’assalto notturno del 27 marzo 1945 al comando tedesco di Villa Rossi e Villa Calvi in Albinea (RE), l’accompagnamento di una cornamusa scozzese suonata da David Kirkpatrik, perché i nazisti intendessero bene che erano stati colpiti da militari, così da non compiere una delle loro tante efferate rappresaglie su civili innocenti.

L'episodio "SAS Italian Job" della serie televisiva "Secret War" della BBC (2011) era imperniato sulla Operazione “Tombola“. Su Rai Storia a giugno 2020 una trasmissione ha, inoltre, affrontato risvolti successivi degli accadimenti occorsi a Lees e a Farran (aspetti di cui si parla anche nel più recente "Malcolm Tudor, SAS in Italy 1943-1945: Raiders in Enemy Territory", Fonthill Media, 2018).

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⁨📷⁩ ⁨Andammo in quell'estate di 11 anni fa io e Nello a Roquebrune. Non intendo annoiare sottolineando aspetti di storia e di monumenti, pur notevoli. Mi preme rievocare un episodio. Entrati in un vicolo per iniziare un giro del paese, fermati da una domanda di una gentile signora anziana in vena di socializzare, venivamo intrattenuti da un sopraggiunto artista del legno (bravo, in verità), il quale sciorinava a modo suo le vicende del villaggio, ma senza sbagliare nulla - come poi ho verificato -, anzi, aggiungendo che Roquebrune era stata venduta ai Grimaldi direttamente dal Conte di Provenza. Particolare, quest'ultimo, non riportato neppure dal citato foglietto ufficiale. Il brav'uomo in questione ci aveva prima proclamato che i suoi nonni erano arrivati in zona da Umbertide, Umbria; al che mi sono sentito in obbligo morale di esternare a tutti che sapevo di una vecchia, forte emigrazione (che in qualche misura ho frequentato) da Città di Castello (sempre in Umbria, beninteso!) nel locale dipartimento delle Alpi Marittime.

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Nel 1960, credo, ci recammo io, papà, fratellino e zio materno a vedere una partita di calcio del campionato di serie A francese, Monaco-Reims, nel vicino Principato, nel vecchio stadio a dimensione quasi familiare. Eravamo vicini ad una linea laterale prossima ad una porta, ma un gruppo di spettatori sulla nostra sinistra era ancora più affacciato di noi sul rettangolo (come si suol dire) di gioco. Anzi, ad un certo momento, si consentì agli stessi di avanzare ancora, sino a portarsi a ridosso del portiere: in questo movimento rivedo ancora la fulminea mossa di una signora a riprendersi trafelata il fiaschetto di vino scordato indietro per potersi poi finire beata il suo bel picnic nella nuova agognata posizione. Finita la partita, dobbiamo avere indugiato un po’ da qualche parte, perché altrimenti non mi spiego la scena seguente. Su due sedie malandate, davanti ad un baretto qualsiasi (come oggi a Montecarlo non ce ne sono più), lo zio riconobbe per primo un calciatore, io un attimo dopo il secondo. Si trattava rispettivamente di Kopa, migliore giocatore europeo del 1958, e di Fontaine, tuttora recordman con 13 reti (1958, in Svezia) di un singolo mondiale, quella volta con una gamba ingessata (e, quindi, non era sceso in campo, ma aveva accompagnato la squadra) come avevo già letto in uno dei miei prediletti giornalini dell’epoca: entrambi del Reims e nazionali (i galletti) di Francia, il primo oriundo polacco, il secondo a suo tempo esordiente in Marocco. Si avviò un’amabile conversazione tra adulti, di cui ora io ricordo solo i continui complimenti fatti anche in spagnolo (aveva appena finito di militare nel Real Madrid), rivolti da Kopa al mio fratellino. Ed alla morte di Kopa ho riscontrato dalla lettura dei giornali la grande umanità di questo oriundo polacco, partito dal lavoro in miniera per diventare il grande calciatore che in tanti ancora ricordano.⁩

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⁨📷⁩ ⁨Per un San Valentino, pochi anni fa, una libreria di Bordighera (IM), dove abito, ha esposto in vetrina una vignetta molto grande di Peynet, incorniciata con eleganza, quasi un quadro, ma forse si tratta davvero di un dipinto. In ogni caso non sono entrato per osservare da vicino e sincerarmene. Mi è tornata in mente la prima volta che ho visto dal vero un disegno originale del creatore dei famosi fidanzatini. Mi era capitato in un pubblico esercizio del centro della città delle palme, dove spesso lo zio materno, in quegli anni 1966 e 1967, dopo essere stati a vedere un film, mi portava, quasi sempre a fare una seconda cena di mezzanotte a base di succulente cozze, di sicuro ad ascoltare la conversazione di una sorta di gioventù dorata dell'epoca, ma in effetti composta da persone serie e simpatiche. Non ho più visto in quel locale quell'oggetto delle mie intenzioni. Forse la famiglia dei titolari ha preferito tenerselo in casa. In effetti Peynet - ma questo lo sapevo, soprattutto dalla lettura dei giornali - era assiduo del Salone Internazionale dell'Umorismo di Bordighera. Vinse, in effetti, la Palma d'Oro del 1952. Che per un motivo o per un altro neanche da ragazzo sono mai riuscito a visitare. Anche se in quei tempi ero particolarmente entusiasta proprio di Peynet. Solo un giro veloce una volta, da adulto, ma il discorso porterebbe troppo lontano... Anni dopo nella cantina di un conoscente a Dolceacqua (IM), in Val Nervia, potei ammirare, con mio grande stupore, un altro disegno di questo artista, in tal caso magistralmente realizzato sulla semplice intonacatura in calce di una parete del locale in cui mi trovavo! Il mio anfitrione mi disse che Peynet aveva ben apprezzato il suo vino, tipico della zona, il buon "Rossese di Dolceacqua", per l'appunto, un'eccellenza, che allora non aveva ancora ricevuto le attuali denominazioni di qualità. Trovo una volta di più molto simpatico Peynet!

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Livio Berruti non sa neppure chi sia io, ma ... Ebbi la fortuna di stare al suo fianco, come attesta questa fotografia, su di un palco a Ventimiglia (IM) in occasione delle premiazioni di un lontano Agosto Medievale, manifestazione tipica della città di confine. Quella volta gli balbettai qualche confusa parola circa le emozioni che la sua figura mi ispirava sin da bambino. Come cercherò di precisare più avanti. Credo che in qualche caso si provino a pelle sensazioni giuste. La mia fugace conoscenza dell'ex grande atleta mi diede la sensazione di essere vicino a, come si diceva una volta dalle mie parti, un gran signore. Questa mia datata impressione mi è stata confermata - un po' come mi era già capitato dalla lettura dei giornali in occasione della morte di Kopa - da un'intervista a Berruti di 5 anni fa, cagionata, in occasione del compimento dei suoi 80 anni. Le sue parole - in tal caso, al di là dei risvolti tecnici, pure interessanti per me, delle sue pregresse imprese agonistiche - ai miei occhi fanno emergere il ritratto a tutto tondo di un uomo intelligente, spiritoso, pieno di vita, sensibile verso il prossimo. Lessi della vittoria di Berruti (sorvolo sul relativo primato mondiale uguagliato due volte e sugli successivi sviluppi della sua attività sportiva) nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Roma del 1960 su di un giornale a disposizione dei clienti in un bar di Coldirodi, Frazione di Sanremo (IM). Avevo dieci anni. All'epoca in pratica mi interessava solo il ciclismo. Dovrei - vorrei - ripetere che erano altri tempi con altri mezzi - scarsi - di comunicazione, per cercare di inquadrare quel contesto sociale, ma non voglio allungare questo articolo. Circa l'atletica leggera probabilmente ricordavo solo in modo confuso nomi come Consolini e Zatopek, desunti dalla lettura del mio amato "Corriere dei Piccoli". Inopinatamente la notizia di quella medaglia d'oro mi galvanizzò. Presi a seguire Berruti, la sua ed altre connesse discipline, altri atleti. Mi aiutava alla bisogna anche il successivo arrivo di un televisore in casa nostra. Ma pure la mia ormai costante attenzione ai quotidiani che comprava mio padre. Celiando, potrei aggiungere che, per una breve - perché su troppe cose sono stato incostante - stagione, cercai di emulare Berruti, anche se, in quanto allievo, su più brevi (80 metri) e più lunghe (300 metri) distanze. In ogni caso devo ringraziare mia nonna materna e la zia più giovane, che nel settembre 1960 mi avevano portato su quell'altura che guarda sul mare per l'annuale ricorrenza del locale Santuario della Madonna Pellegrina.

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submitted 2 months ago* (last edited 2 months ago) by adrianomaini@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it

La storia più o meno è questa. Più di 50 anni fa, una locomotiva a vapore di manovra veniva avviata dal deposito (Campasso) sito in zona Nervia, levante di Ventimiglia, verso la stazione della città di confine. Ci fu subito dopo da fare una fermata. I due addetti ne approfittarono per scendere dal mezzo e mettersi a chiaccherare con colleghi operai impegnati ai binari. Senonché, la vaporiera lemme lemme iniziò a muoversi verso ponente. Si diffuse il panico. Qualcuno, più pronto di altri, ricorse ad un telefono da campo di servizio. Quel rimorchiatore di treni venne così deviato dagli scambisti su di un binario morto, dotato di soffici respingenti, su cui si accomodò il piccolo mostro. C'era una foto dove compariva uno di quei distratti macchinisti. Non più da me ritrovata, talvolta sono ricorso ad uno scatto d'archivio, allorquando volevo rammentare questo episodio in qualche blog. Grande il mio stupore a scoprire riprodotta in grande un'immagine similare (probabilmente in quel lontano giorno qualcuno si cautelò facendo più pose) a quella che cercavo sulla attuale recinzione dell'ex Campasso.

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Le linee più generali degli aspetti di una certa pregressa vita culturale di Bordighera (IM) a me, sino ad allora ignaro per età e/o insipienza, erano già state tratteggiate da alcuni amici circa cinquant'anni fa, ma per lungo tempo non avevo mai pensato o non avevo più avuto occasione di approfondire. Di grande rilievo in proposito mi sembra uno scritto del nipote di Guido Seborga, Claudio Panella, da cui attingo, per stralci, quanto segue: Fin dagli anni '50 Bordighera è stato un centro culturale decisamente animato, e Guido Seborga passava spesso le sue giornate nei caffè del centro, intrattenendosi con coloro che diverranno i suoi compagni di una vita. Nei locali del Gran Caffè - ormai scomparsi - della Stazione, o del Caffè Giglio sull'Aurelia, poi del bar Chez Louis di C.so Italia, si è incontrata e formata più di una generazione di artisti liguri: oltre a quella di Seborga e dei pittori Balbo e Maiolino, che all'inizio degli anni '50 fondarono i premi delle "Cinque Bettole" per la pittura e per la letteratura, passando libri e stimoli a scrittori come Sanguineti e Biamonti, quella più giovane di Giorgio Loreti e Angelo Oliva, che insieme a Seborga scoprirono i poeti francesi, i surrealisti, gli esistenzialisti e la politica. Tutti i nomi sopra citati, e non solo, furono variamente influenzati dall'azione continua di formazione e incitamento all'organizzazione giovanile che Seborga portò avanti nella Bordighera di quegli anni. Nel 1956 Seborga, che già conosceva Francesco Biamonti e faceva parte della giuria delle "Cinque Bettole", lo indusse a parteciparvi con la speranza che si mettesse in luce ... Seborga citava "le pagine scritte da certi giovani come Oliva, Lanteri, Loreti, per non dire del romanzo "Colpo di grazia" di Biamonti, dimostrano ampiamente che un clima di ricerca intellettuale i migliori giovani hanno saputo creare".

Fu presente in varie occasioni sopra menzionate un personaggio singolare quale fu Giacomo Natta.

Credo sia importante visitare il sito dedicato a Giuseppe Balbo, non solo per ammirare belle opere di questo artista, ma anche per conoscere più da vicino un ponderato riepilogo delle iniziative culturali, svolte in Bordighera soprattutto nei primi anni '50.

Non si dovrebbe dimenticare il pittore Gian Antonio Porcheddu.

Di sicuro scorderò in questo articolo di fare riferimento ad altri degni intellettuali.

Alla fine degli anni '50 nasce, poi, l'Unione Culturale Democratica, tuttora operante con grande impegno di Giorgio Loreti. Aggiungo, ma solo a titolo di esempio, dei nomi che vi furono e/o vi sono tuttora attivi: Paolo Del Monte, Joffre Truzzi, Sergio Gagliolo, Sauro Santilli, Francesco Biamonti, Angelo Oliva, Enzo Maiolino, Elio Lentini, Guido Seborga, Sergio Ciacio Biancheri, Matteo Lanteri.

Mi preme sottolineare che Presidente dell'Unione Culturale Democratica fu il professore Raffaello Monti [(Milano, 23 dicembre 1893; Bordighera, 15 maggio 1975). "Monti fu musicista di professione, specializzato nel violoncello, e compositore. Ebbe modo di studiare musica e perfezionare la sua arte in più Istituti e Città (Torino, Tolosa, Nizza) raggiungendo notevoli traguardi e incarichi di prestigio, tra cui quello di primo violoncellista al Teatro Regio di Torino e solista all’EIAR. La sua carriera precoce, iniziata ad appena 16 anni, continuò fino all’anno della sua morte nel 1975 con la composizione e orchestrazione di molte opere". Valentina Donati], non solo insigne musicista, ma anche pacifista di intense frequentazioni con Aldo Capitini...

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Niente vie di fuga. (noblogo.org)
submitted 2 months ago by danmatt@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it

Niente vie di fuga, sui #socialmedia. Meglio il brutto. E' più semplice. Dal #Blog.

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questi assumono gente sottopagata per rompere le palle da mattina a sera

a chi è titolare di questi call center ci vorrebbe l'ergastolo ostativo con il 41-bis

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Per il mio catorcio immatricolato nel 1994 per evitare di pagare un premio assicurativo superiore al valore del mezzo, avevo fatto un contratto con scatola nera dell'intesa san paolo.

Ne hanno di due tipi. Una più complessa, un quadrato di 15x15 cm che richiede di essere installato sul parabrezza per vedere i satelliti, smontare tutto il cruscotto, tagliare fili, inserire la massa, ecc. Questo è pensato per le auto più vecchie. Per le auto nuove hanno invece uno più semplice, si attacca alla centralina, si mette sopra la batteria e prende i dati via canbus. Costa molto meno sia di installazione sia di realizzazione. Come minimo risparmiano 100 euro di installazione presso il loro elettrauto convenzionato.

Adesso ho cambiato automobile con una più moderna, sono andato a cambiare la scatola nera dando per scontato che avrebbero semplicemente messo quella sulla batteria come fanno tutti gli altri e... MURO DI GOMMA. "No, il contratto originale prevedeva l'installazione invasiva, quindi rimontiamo il box gigante con smontaggio totale del cruscotto e ci deve lasciare l'auto per una settimana".

Non c'è stato nulla da fare. Sono stato due ore in filiale a discutere. "Per i nuovi contratti sui nuovi veicoli montiamo quello light in 10 minuti, ma siccome è un vecchio contratto, il sistema ci obbliga a rimontare quello invasivo."

Al che ho fatto presente che visto il furto che ho subito con l'acquisto della nuova auto, non ci pensavo assolutamente a farmi smontare l'intero cruscotto per una ragione così burocratica: o mettete la scatola light o si applica il diritto di recesso.

La risposta che mi ha lasciato abbastanza sconcertato: "bene, allora per recedere dal contratto mandi una raccomandata a xxx con scritto yyy e facciamo rimborso"

Potevo capire se per ragioni economiche/ecologiche avessero rimontato quello vecchio prendendolo dalla vecchia auto, ma dice che no, quello va in discarica, e ne rimontano comunque uno nuovo di zecca.

A me non pare il vero, ho visto che con altre assicurazioni posso risparmiare 100 euro e non avere scatole nere antiprivacy...

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submitted 2 months ago* (last edited 2 months ago) by adrianomaini@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it

Non si creda che Flavio Palermo non sia pronto a dare, per quanto di sua competenza, utili informazioni. Il 3 luglio già mi mandava un interessante commento a quanto da me pubblicato a quella data nel mio Canale di WhatsApp - di racconti vecchi e nuovi - sui BBS e cose similari. Sono io, invece, che me la sono presa comoda, forse per riordinare le idee. In ogni caso, ecco qui di seguito l'ultimo contributo di Flavio: « Con il videotel mi collegavo già dal 1989 con il commodore 64. C'è un articolo "SPRITE 6499" che mi hanno pubblicato sulla rivista mc microcomputer del 1989 , dove spiego come modificare il software in linguaggio macchina del modem(6499) del commodore 64 per aggiungere uno SPRITE (freccia che si muoveva con il joystick) per navigare sul VIDEOTEL. Ecco la rivista on-line http://www.digitanto.it/mc-online/PHP/MCnum.php?mc=mc085&npag=244 ». Aggiungo che almeno in un'occasione hanno visto un post di questo canale amici che, come il sottoscritto, si sono avventurati in social media quali "Discord" senza ricavarcene - credo - granché: gli stessi che si tengono, però, alla larga da altri più facili "da usare" come "Nextdoor" e "Mastodon", quest'ultimo nelle sue varie "versioni" e possibilità. Ma, tornando a Flavio, mi sorge spontanea una domanda: oggi come oggi si sarà mai messo ad indagare ed a operare su "esperienze" (per me, almeno) più difficili, con la possibilità che - come ai tempi - ne venga qualche ricaduta utile per i suoi corrispondenti, "esperienze" quali "Github", "ActivityPub", " OStatus"? Noi, della zona di frontiera con la Francia Ventimiglia-Bordighera...

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Nello Pozzati mi disse in un’occasione che aveva letto "Meridiano di sangue" di Cormac McCarthy, come forse gli avevo suggerito io: solo che non so ripetere la lucida precisione con cui mi descrisse la filosofia, da lui intesa, sottesa a quel romanzo, che pur mi aveva tanto affascinato per quella che a me è sembrata una plastica commistione di paesaggi selvaggi e di crude vicende storiche poco note del sud-ovest nord-americano. In occasione di una nostra escursione a La Turbie, a Ferragosto del 2012, forse proprio mentre eravamo abbarbicati, su sua istigazione, su di un piccolo ripiano del Trofeo di Augusto non propriamente raccomandato, per non dire proibito, al pubblico, Nello mi colpì con un’icastica espressione: la “luce di Singapore”. Mi rammarico di non avere afferrato meglio il concetto, della cui rilevanza non potevo dubitare, avendo a quel momento egli già compiuto tanti viaggi all’estero all’insegna di un turismo culturale molto sofisticato, come in Namibia, Eritrea, Vietnam, Nuova Caledonia e Singapore, per l’appunto. Una definizione, in ogni caso, va da sé, bella e significativa, che Nello scorgeva come fenomeno naturale di grande e nitido splendore per certe ore di certi pomeriggi di molte giornate in questi nostri luoghi. E potrei continuare, non fosse altro che per sottolineare che colpevolmente a tutt'oggi non ho ancora letto nulla di Vasilij Semenov Grossman, che Nello riteneva uno scrittore di incomparabile umanità. Nello Pozzati, purtroppo, è scomparso nel 2018 a causa di una malattia incurabile.

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submitted 2 months ago* (last edited 2 months ago) by edosecco@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it

Ieri sera nel paese in cui abito si è tenuta una serata informativa sul 5G, organizzata a seguito della costruzione di un'antenna, per ora non ancora attiva.

Ammetto di esserci andato un po' prevenuto, ma poi mi sono rimproverato di essere troppo pessimista.

Comunque:

1° intervento: insegnante di fisica che ha fatto una normale panoramica sulle onde elettromagnetiche e come vengono usate per comunicare. Io ho fatto l'ITIS, e in ciò che ha detto non c'era niente di strano.

2° intervento: tecnico telecomunicazioni che ha spiegato come funzionano le infrastrutture, le differenze tra le varie generazioni (2G, 3G, 4G...) e quali apparecchi di uso quotidiano emettono campi elettromagnetici. Questo non è il mio ambito, ma per lo meno anche qui non ho trovato niente di fantasioso.

Quindi fin qui tutto bene.

3° intervento: un medico specializzato in "scienze quantistiche" che ha parlato di "biorisonanza". 😑

Ho finito, vostro onore.

Grazie @butac@mastodon.uno

https://www.butac.it/biorisonanza/

https://www.butac.it/red-ronnie-frequenze-curative/

https://www.butac.it/piante-campi-elettromagnetici/

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Lazio in tour gratis: i ragazzi del Lazio tra i 14 ed i 29 anni che hanno attivato la youth card, potranno viaggiare gratis per un mese sui mezzi #Cotral e #Trenitalia

Per creare la #YouthCard è necessario installare la (pessima) app di LazioCrea 🙄: https://play.google.com/store/apps/datasafety?id=it.laziocrea.cartagiovani&hl=it_IT

Oltre “Lazio in tour gratis”, l'app LAZIO YOUth CARD offre diversi vantaggi (sempre che riusciate a installare l'app, a trovare una password tra 6 e 12 chr 😭 e a farla funzionare)... 😂

https://www.regione.lazio.it/notizie/torna-Lazio-in-tour-gratis-dal-primo-luglio-treni-e-cotral-gratuiti-per-i-giovani
@caffeitalia

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Io li conoscevo (feddit.it)
submitted 2 months ago* (last edited 2 months ago) by adrianomaini@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it

Pietro Tartamella qualche anno fa mi aveva chiesto qualche delucidazione di dettaglio per un suo libro di ricordi dedicato - così avevo capito - a Ventimiglia. Non so se questa sua fatica si sia poi concretizzata in quello che Bruno Veri - già mio compagno di scuola alle Superiori - definisce il suo ultimo racconto dal titolo "Senza compianto per il luogo natio". Sì, perché sono ritornato, nella ricerca di notizie su "Piero" alla bella memoria scritta da Bruno in occasione, due anni fa, della scomparsa di Tartamella. Che ho ripubblicato integralmente in data odierna su di un mio blog di carattere antologico, aggiungendo qualche frase presa qua e là sul Web, di modo da rendere un'immagine un po' approfondita di una persona che avevo ben conosciuto e che solo sbrigativamente si può definire un semplice poeta. Aggiungo solo che al viaggio in autostop rievocato da Bruno Veri partecipai anch'io, per lo meno sino alla Svizzera italiana: il quarto componente quella piccola spedizione era Oreste Passeri, altro sodale di classe mio e di Bruno. Per certi versi nelle mie riflessioni ho tante volte accomunato, forse per loro tenacia, a Tartamella Nello Pozzati, un altro (all'epoca: metà anni Settanta) ragazzo emigrato da Ventimiglia (dove era arrivato bambino dal Polesine alluvionato), nel suo caso a Milano. Pozzati, da bracciante nelle campagne gestite da Bruno, figlio di Libero Alborno, a vincitore di concorso impiegatizio in un comune del retroterra del capoluogo lombardo. Così da poter studiare, anche aiutato dalla moglie insegnante, e conseguire prima il diploma, poi la laurea al Magistero. Con successivi concorsi, ai quali partecipò con titoli di studio più consoni, Pozzati divenne dirigente in almeno due Amministrazioni: il Web ci ricorda, ad esempio, che nel 2013 Pozzati era responsabile dell'Ufficio Servizi Sociali del comune di Settimo Milanese. A lui ho fatto riferimento in diversi miei post: indicative sono state le sue lunghe discussioni notturne con Francesco Biamonti al vecchio Bar Irene di Ventimiglia. Aggiungo per il momento solo quanto segue, perché su di lui non sono reperibili in Internet articoli esaurienti come quelli trovati per Tartamella: che Nello era anche stato segretario di sezione del PCI a Ventimiglia, che non ritrovo la fotocopia di un suo articolo che riprendeva in sintesi la sua tesi di laurea sulle lotte bracciantili nel Polesine e che, almeno, ho una copia con sua dedica del suo romanzo "Le trappole di Eros. Inquietudini di una donna moderna" (Greco e Greco, 2005)...

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Aubagne è un comune francese di 42.638 abitanti (al 2005) situato nel dipartimento delle Bocche del Rodano, nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Quando mi ci recai nella primavera del 1983 di Aubagne non ne sapevo molto. Durante il viaggio da Marsiglia, poco distante, non ebbi, quella volta, il modo di apprezzare o notare molto del paesaggio, anche se era ancora giorno, giorno di primavera, sia perché teso per la spericolata guida del nostro autista, sia perché preso dal conversare dei miei due accompagnatori, imperniato soprattutto su gustosi aneddoti riferiti a Gaston Deferre, sindaco di Marsiglia per più di trent'anni, ed all'epoca lo era ancora, anzi stava per diventare o ridiventare anche ministro. Arrivati a destinazione, la prima cosa imprevista e simpatica fu che c'era un appuntamento per me con la Giunta Comunale al completo. Mentre ci si attardava ad entrare nel Municipio, notai che quasi in fila indiana sindaco ed assessori salutavano con naturalezza e garbo scambiando baci (sulle guance!) con il vice sindaco, giovane signora elegante, oltrettutto carina: non mi era ancora capitato all'epoca di assistere a tale usanza in pubblico tra autorità, mentre in seguito, invece, ravvisai che almeno sulla Costa Azzurra tra colleghi (uso questo termine in senso largo, che ricomprende anche gli "ospiti" italiani) signore e signorine si attendono in genere il ripetersi di quella gentile consuetudine. Scambiati i saluti di rito (che io dovetti per la mia parte improvvisare) in una bella sala, per lo più dedita alla celebrazione di matrimoni civili, venni gratificato con il dono di un pezzo pregiato di artigianato locale, una graziosa bambolina di porcellana, vestita in miniatura in modo tradizionale, vale a dire con gonna bianca a fiori, grembiule rosa, camiciola bianca orlata di pizzo, scialle lilla a fiori bianchi, cuffietta anch'essa adorna di pizzo, cappello di paglia a larga tesa, con un mazzolino di fiori di Provenza nella mano sinistra e con un cestino di altri fiori ed erbe della regione sotto l'altro braccio. Si tratta di una bambolina tuttora custodita con cura, tanto é vero che, al momento in cui stendo di getto questi appunti, non me la sento di trarla dalla vetrinetta per procedere ad una rituale fotografia cui sinora non avevo pensato. Dopo questo incontro mi vennero mostrate in altre ali del palazzo civico diverse grandi fotografie che testimoniavano un consistente processo di industrializzazione, di cui i miei anfitrioni andavano molto fieri (in termini di occupazione indotta anche dalla politica di quell'Amministrazione, forse anche giustamente). In quel momento pensai che la convivenza tra l'artigianato artistico, di cui la pupeé era un fattivo esempio, e la modernizzazione in corso fosse un fatto compiuto, senonché non ho più avuto l'occasione di valutare l'evolversi della situazione. Si procedette, poi, alla riunione con emigrati italiani colà residenti, scopo del mio viaggio, cui dedico (un po' me ne vergogno, ma spero di riuscire a tornare altre volte sull'argomento) poche righe, perché l'onda (neanche molto tumultuosa, come cercherò poi di attestare) dei ricordi mi spinge su un'altra strada. Perché, finito il mio vero e programmato impegno, mi ritrovai a bere una volta (come si suol dire) nel bar della "Mamma dei Legionari"! Sì, la cosa non mi parve, e non mi pare tuttora, solo pittoresca, come me la descrivevano i miei amici di quella sera. Cercherò di rendere al meglio il concatenarsi di fattori, ma non é facile: descrivere non é come trovarsi dal vivo in quelle scene una dietro l'altra. Intanto, non sapevo che a Aubagne ci fosse la Legione Straniera. Mi sembra che anche oggi ci sia la sede del comando generale, dove avvengono gli arruolamenti; e non farò deviazioni dal racconto principale riferendo nei dettagli come, ironia del caso, poco tempo dopo qualche giovane di mia conoscenza (non metto aggettivi di sorta!) si arruolasse tra quei mercenari. Il vero fatto perturbante per me era trovarmi vicino ad uno dei simboli più spietati delle repressioni coloniali: sì, il film "Beau Geste" con Gary Cooper da ragazzino mi era anche piaciuto, ma la storia documenta una realtà diversa di soprusi e di crudeltà. A seguire mi si accennò quella sera ad una matrona, che mi limiterò a definire di forme e fattezze esuberanti e di non tenera età. Si trattava della padrona dell'esercizio, che si era meritata l'appellativo di mamma dei legionari, perché il suo locale era il ritrovo preferito da quei presunti militari, che in lei trovavano attenzione, calore umano e parole di conforto. Non c'era molta gente, a parte noi tre, forse perché, essendo già un po' tardi, la ritirata in caserma era già suonata; forse per questo motivo i miei accompagnatori non trovarono di meglio che invitare tanto personaggio al nostro tavolo, come se fosse un rituale folcloristico cui io dovessi assistere per forza. E la signora venne e mi pare dicesse le solite parole di circostanza sull'Italia e quanti italiani erano stati ed erano nella Legione e così via. Poi ebbe come un lampo, si allontanò un attimo, sempre accompagnata dai sorrisi sardonici (che non l'avevano mai abbandonata!) dei miei anfitrioni, per tornarsene trionfante per esibire soprattutto a me (i miei amici lì, é chiaro, se non erano di casa, poco ci mancava: se per "spiare" o per divertirsi invero amaramente guardando le miserie del mondo, non lo so!) una copia di una rivista popolare italiana che l'aveva "immortalata" con almeno tre pagine, corredate di varie fotografie, in quanto consolatrice di quei poveri giovani abbandonati che sono i legionari: la "Mamma dei Legionari", insomma! Si da il caso che tra la guida spericolata di cui ho già detto, un mangiare affrettato fatto non so più dove e qualche sorso di grappa (sì a me sembra ancora adesso grappa, mentre in Francia c'é dell'ottimo cognac che é un vero medicinale), servita in precedenza da una cameriera, io da un po' ormai, ad usare un eufemismo, avevo del mal di testa. Per cui non riuscendo a sottrarmi in modo elegante ad una situazione per me un po' equivoca, mi andai ad inibire la tranquilla visione di una serie di vere chicche che quel locale riservava, che io vedevo solo da lontano, perché non potevo allontanarmi dalla "celebrità locale": vale a dire ritagli di giornale dedicati e fotografie autografate di vari protagonisti dello sport francese, che a quanto pare non avevano manifestato scrupoli di coscienza nel lasciare là delle tracce. E fu così che non ricordo quasi niente del viaggio di ritorno. E l'alberghetto davanti al quale mi lasciarono, ormai nel cuore della notte, fu un po' come un tocco finale. A me sembra ancora adesso, per farla breve, tratto di peso da un qualche romanzo dove compare Maigret, con la differenza che io mi trovavo a Marsiglia e non a Parigi. Solita tappezzeria un po' ... trasandata, solito rubinetto che sgocciolava, solita persiana che cigolava al vento, solite voci di donne e uomini: queste cose, nonostante il ... mal di testa me le ricordo, così come mi ricordo di avere dormito ben poco. Fu veramente comodo il viaggio di ritorno in treno, un bel treno ancora di quelli di una volta, posizionato in una vera poltrona (non ci si crederà!) tutta per me: l'unica dello scompartimento, credo, ma non me la ero certo lasciata sfuggire! E così capita che, stando al computer posto vicino ad una vetrinetta dove é custodita una così bella bambolina, mi siano affiorati alla memoria ricordi un po' sfumati che mi hanno indotto a scrivere queste righe. Anzi, mi sembra quasi che anche la graziosa contadinella al termine di questo post intenda mandare i suoi garbati saluti a tutti!

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Ombrellaio!!! (feddit.it)
submitted 2 months ago* (last edited 2 months ago) by adrianomaini@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it

C'era una casa, a Nervia di Ventimiglia, più o meno insistente sull'attuale ingresso dell'antico Teatro Romano, demolita concluso il secondo conflitto mondiale, una costruzione che ospitava anche un panificio, dove diversi ragazzi dell'epoca impararono il mestiere. Si fermava spesso ai tempi in quell'operoso laboratorio un ferrivecchi, arrivato da non molto dalla lontana Calabria. Tra l'ospite e gli addetti al forno l'atmosfera era sempre gioiosa, le conversazioni erano sempre amichevoli, gli spuntini erano frequenti. Ma era anche irresistibile la tentazione per gli indigeni di giocare qualche tiro all'immigrato, mettendosi a parlare in dialetto stretto: il divertimento era comunque assicurato per tutti, trattandosi di persona di spirito, destinata di lì a breve a diventare un noto ristoratore della città di confine.

Arturo Viale nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) si sofferma su di sergente dei granatieri, alto un metro e novanta, il quale, per arrotondare la paga raccoglieva ferro ed ossa (di animali, si suppone!): "il ferro serviva per qualche fucina e le ossa tritate diventavano concime", ma, finita la guerra, riapprodato a Ventimiglia, "aveva deciso di sfruttare l’altezza e si era messo a costruire i pergolati di cannicci per coltivare il verde e le serre in legno".

In quel periodo operava nella zona intemelia di frontiera anche un guaritore, una figura su cui Odovindo Del Bona ha incentrato il suo romanzo "Il mago e le streghe. Vicende dell'estremo Ponente Ligure" (Youcanprint, 2019). In effetti l'autore (un noto imprenditore del ponente ligure che per l'occasione ha inteso celarsi sotto un nome d'arte) ha innestato dei raccordi di fantasia nella rievocazione di molte vicende reali della vita del nonno materno (e di questo ramo della sua famiglia): un'opera che merita, invero, qualche successiva specifica presentazione critica più dettagliata. Qui preme sottolineare due situazioni, estrapolate dal contesto. L'imposizione fatta al protagonista, nonché a sua moglie ed alla figlioletta, di sopportare la presenza forzata del "comandante Kasper" e di un drappello di soldati tedeschi al piano terra della propria abitazione, un casale parzialmente appena ristrutturato, situato non lungi dal cimitero di Vallecrosia, e di questi e di altri teutonici nel suo terreno adibito ad uso agricolo, ancorché in quei giorni tormentati praticamente abbandonato, un terreno ben presto devastato per l'allestimento di un'officina di riparazione di mezzi pesanti germanici. E la richiesta del comandante garibaldino Vittò (al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo), quando Pigna era una zona libera partigiana, di curare un suo caro amico che versava colà in gravi condizioni. Il guaritore, che attraversava di continuo gli spazi di patrioti e di nazifascisti in quanto molto richiesto per le sue prestazioni, in quel caso si sentì sul serio incapace allo scopo, ma, con sua somma sorpresa, il suo tentativo ebbe successo: al ritorno fu molto attento a non fare accenni di questa vicenda all'uomo della Wehrmacht, che, anche se riconoscente per la terapia praticata alla sua sciatalgia, era sempre molto sospettoso circa i suoi spostamenti.

In molti, specie donne, allora ed anche dopo praticavano rimedi e medicamenti, per lo più con decotti di erbe, per malanni vari: ad esempio, si prestava attenzione ai bambini per i cosiddetti "vermi" (la tenia) ed ai più grandi per slogature, storte alle caviglie ed altri acciacchi muscolari, rispetto ai quali alcuni veri "maghi" sapevano ripristinare condizioni ottimali con la semplice (si fa per dire!), misteriosa imposizione delle mani.

Ma ambulavano, inoltre, da queste parti, come nel resto del Paese, chi sporadicamente, chi più sovente, zampognari (che la mentalità popolare individuava come nunzi di maltempo), arrotini, spazzacamini. Ed altri ancora. Un grido, forse, è rimasto più impresso in una certa memoria collettiva, quello di "Ombrellaio!!!". Mestieri in larga misura superati dalle tecniche moderne, comprese quelle che producono beni "usa e getta". Qua e là, tuttavia, si esibiscono ancora colleghi degli amici acrobati e ballerini di Mary Poppins, non del tutto sorpassati dal progresso.

E dalle spiagge si sente pure adesso qualche volta il quasi ancestrale, cantilenante annuncio "Cocco fresco, cocco bello!".

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VPS a 1€ al mese (www.ionos.it)
submitted 2 months ago by Suoko@feddit.it to c/caffeitalia@feddit.it
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Un gruppo di bambini, mentre giocava vicino alle sponde del torrente Borghetto in prossimità della Via Romana di Bordighera, vide cadere un aereo in collina. Si affrettarono a salire, spinti dalla pericolosa curiosità, naturale in quella fase della vita umana, ma furono respinti dai soldati tedeschi accorsi ben prima sul sito dell'impatto. Riuscirono, tuttavia, a capire che il pilota era rimasto immolato con l'apparecchio; forse, addirittura, riuscirono a scorgerlo da lontano. Un recente articolo, apparso sulle pagine locali di un noto quotidiano nazionale, rispolvera la vicenda, fornendo diverse informazioni tecniche e storiche, reperite dal giornalista, ma non indica il punto preciso della conclusione di quel disastro. D'altronde, le scarse notizie reperibili sul Web sino a pochi giorni fa erano - e rimangono - contraddittorie. Fuori discussione la data del tragico evento, 12 settembre 1944, il nome della vittima, Lewis K. Foster, il tipo di aereo, Republic P-47D-23-RA Thunderbolt, la nazionalità di entrambi, statunitense, la località di partenza, Poretta, Corsica, la squadriglia, il gruppo e così via. Una fonte sostiene che il caccia in questione - di questo tipo di apparecchi si trattava - "si schiantò mentre mitragliava il bersaglio ad un miglio a nord est di Bordighera"; un'altra, quella più ricca di dettagli, mentre conferma la precedente asserzione, aggiunge che l'aereo "era stato visto l'ultima volta ad un miglio, un miglio e mezzo a nord ovest di Bordighera". In effetti, nell'articolo citato ci sono ampi riferimenti al rapporto di un altro pilota, di cui si fa pure una breve storia di quella e di altre avventure di guerra, un pilota, il tenente John M. Lepry, che, mentre la squadriglia era in picchiata, aveva sentito dietro di sé l'esplosione del mezzo guidato da Foster, senza poterne capire le cause. Il giornalista fa ruotare il suo pezzo intorno al fatto che si sia persa la memoria di questo tragico evento.

Eppure, qualcuno nella vicina Vallebona ancora ricorda che un compaesano parlò diverse volte di essere accorso, mentre lavorava in un appezzamento di terreno dalle parti della collina Mostaccini di Bordighera, sul luogo di un disastro aereo, riuscendo anche a vedere il cadavere straziato del pilota, di cui raccontava anche particolari raccapriccianti. Il Notiziario, invece, della fascistissima Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) aveva comunicato il 1° ottobre ai capoccia di Salò che il mezzo incursore 'precipitava in località "Camporosso". Un pilota caduto e l'altro, ferito gravemente, è stato catturato'. C'è da dubitare che sul singolo aereo i piloti fossero stati due. Millantato credito?

Anche Mario Armando, all'epoca del fatto quindicenne, visse più o meno l'episodio come i bambini di cui sopra. Nel suo racconto, pubblicato qualche anno fa in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, appare anche un preciso riferimento ai colpi di mitraglia - forse quelli decisivi - sparati dalla torre di avvistamento (il Semaforo) approntata dai tedeschi in Piazza del Popolo nel centro storico (Paese Alto) di Bordighera. Armando quel giorno stava proprio lì a giocare con degli amici a pallone, un pallone messo a disposizione da una recluta austriaca di 17 anni, per combinazione addetto a quella postazione e che in quel frangente non poteva certo unirsi come d'abitudine ai compagni di calcio. Questi ultimi - dunque, partendo da levante - cercarono di arrivare sul luogo dell'impatto del caccia, ma vennero anche loro respinti dai soldati tedeschi.

In quel torno di tempo, più o meno, a distanza in direzione ovest di circa due chilometri lungo la linea di costa, sulla piccola collina di Collasgarba, divisa tra Ventimiglia e Camporosso, anche questa affacciata su di un torrente, in questo caso il Nervia, un gruppo di bersaglieri della repubblica fascista di Salò, capeggiati dal sergente Bertelli, stava maturando la convinzione di disertare, ma alcuni patrioti li convinsero a rimanere al loro posto per aderire in modo clandestino alla Resistenza: con la discesa al mare ad un presidio in Vallecrosia questa loro scelta si rivelò molto utile per il buon esito di diverse missioni di contatto dei partigiani con gli alleati insediati nella vicina Francia.

Non si sentiva molto sicuro - racconta il figlio Massimo - Stefano Leo Carabalona, mentre si trovava a bordo di un apparecchio a compiere una ricognizione su Pigna e dintorni, forse foriera dei bombardamenti di fine dicembre 1944 su questo centro della Val Nervia, che dovevano colpire obiettivi militari strategici - secondo lo storico Giorgio Caudano eliminare - uno scopo fallito - il generale Lieb, comandante della 34^ Divisione dell'esercito tedesco, quella di stanza nel ponente ligure -, ma che uccisero, invece, cinque donne ed una bimba di 21 mesi e causarono vari danni, pesanti per un piccolo paese. Non si sentiva sicuro Carabalona, non perché temesse la contraerea tedesca, probabilmente installata in seguito, ma per la fragilità del mezzo. Eppure Carabalona era stato coraggioso - e decorato con due medaglie di bronzo al valor militare - in guerra come ufficiale del Regio Esercito, un eroe partigiano nella difesa di Rocchetta Nervina, un protagonista delle battaglie di Pigna - e verso l'epilogo di queste riusciva a dare precise indicazioni alla Missione FLAP - battaglie che portarono alla costituzione della Libera Repubblica democratica dalla vita, purtroppo, breve, ed era appena sbarcato in Francia come responsabile del collegamento della V^ Brigata partigiana "Luigi Nuvoloni" con i comandi alleati di Nizza. Neppure immaginava che, appena rientrato in Italia, sarebbe stato gravemente ferito a febbraio 1945 in un agguato a Vallecrosia e che sarebbe occorso quasi un mese perché i sappisti del Gruppo Sbarchi Vallecrosia riuscissero via mare a portarlo definitivamente in salvo per avere infine le cure del caso a Nizza. Del resto, la lunga strada per la Liberazione passò anche in provincia di Imperia, da un capo all'altro, per bombardamenti aerei e navali - anche con artiglierie di terra in prossimità del confine - , non sempre mirati su obiettivi militari, sempre con effetti devastanti sulla popolazione civile.

Adriano Maini

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